Los desastres de la guerra - serie
di ottantadue acqueforti realizzate
da Francisco Goya tra il 1810 e
il 1820, di cui la Raccolta Lercaro
presenta un’ampia selezione - è
uno spietato documento che
testimonia la violenza perpetrata
dall’occupazione francese
della Spagna.
Occupazione che si concluderà nel 1813 per continuare, però, con la tragedia dell’instaurazione di una monarchia assoluta che farà precipitare il paese in uno dei momenti più cupi della sua storia. Il vero protagonista delle incisioni di Goya è il male.
Occupazione che si concluderà nel 1813 per continuare, però, con la tragedia dell’instaurazione di una monarchia assoluta che farà precipitare il paese in uno dei momenti più cupi della sua storia. Il vero protagonista delle incisioni di Goya è il male.
Le scene sono raccapriccianti:
mutilazione di corpi, fucilazioni,
corpi impiccati, impalati.
Persone
percosse a morte, giustiziate,
evirate, decapitate. Simili a epigrafi
tombali, le scene si presentano
come un lacerante urlo, cupo
e sordo. Il tratto è nervoso e
graffiante. Il disegno appare
come tracciato con la cenere dei
cadaveri, quasi fossero “istantanee
dell’orrore” nelle quali Goya mostra
la malvagità della natura umana.
“Per questo eravate nati” - scrive
Goya in un’acquaforte.
Los desastres de la guerra - Acquaforte, puntasecca |
La morte
appare l’unico esito dell’esperienza
umana.
Tra le vittime più illustri della guerra, in mezzo a tutte queste macerie, c’è anche la Verità, raffigurata sotto le spoglie di una donna angelica illuminata da una luce trascendente (così compare nelle ultime acqueforti): risusciterà forse nel momento in cui gli uomini avranno imparato dalle proprie meschinità, per suggellare un nuovo patto con l’umanità? Con una quarantina di scatti fotografici di un teso e contrastato bianco e nero, Letizia Battaglia - fotografa di fama internazionale e vincitrice, tra gli altri, del prestigioso premio “W. Eugene Smith Award” - documenta gli “anni di piombo” della città di Palermo, testimoniando l’atrocità della violenza che lacera la vita della sua città. Nelle foto dei delitti di mafia, negli sguardi dei morti ammazzati, nei volti carichi di dolore di bambini e di donne, l’autrice invita a prendere coscienza del male dentro e fuori di noi per combatterlo, per lottare e realizzare una società diversa, che sappia reagire alle tragedie della corruzione e della sopraffazione.
Tra le vittime più illustri della guerra, in mezzo a tutte queste macerie, c’è anche la Verità, raffigurata sotto le spoglie di una donna angelica illuminata da una luce trascendente (così compare nelle ultime acqueforti): risusciterà forse nel momento in cui gli uomini avranno imparato dalle proprie meschinità, per suggellare un nuovo patto con l’umanità? Con una quarantina di scatti fotografici di un teso e contrastato bianco e nero, Letizia Battaglia - fotografa di fama internazionale e vincitrice, tra gli altri, del prestigioso premio “W. Eugene Smith Award” - documenta gli “anni di piombo” della città di Palermo, testimoniando l’atrocità della violenza che lacera la vita della sua città. Nelle foto dei delitti di mafia, negli sguardi dei morti ammazzati, nei volti carichi di dolore di bambini e di donne, l’autrice invita a prendere coscienza del male dentro e fuori di noi per combatterlo, per lottare e realizzare una società diversa, che sappia reagire alle tragedie della corruzione e della sopraffazione.
Una madre piange
il figlio appena ucciso.
Un corpo
è stato dilaniato dalle pallottole.
Tuttavia, le sue fotografie non sono
una semplice testimonianza. Il suo
sguardo non è mai distaccato,
ma abitato da un senso di
partecipazione e di sofferenza che
parla di vita. Le sue immagini sono
piene di una compassione che ci
rende solidali con la vita degli altri
e ci invita a un impegno civile e
personale.
Tragedie che l’uomo ha vissuto da
sempre, nel passato, nel presente.
Le immagini di Francisco Goya
e di Letizia Battaglia si pongono
come metafore del male, come
immagini di una notte nera che
l’uomo è chiamato ad attraversare.
Il male è una realtà che l’uomo
non può semplicemente subire.
Ma come superare questo abisso
del non senso? Come vincere
l’indifferenza che ci rende sordi
al richiamo di un impegno contro
gli orrori del male? A conclusione
del percorso dei lavori dei due
autori citati è posta una Via Crucis,
espressamente commissionata
dalla Raccolta Lercaro al giovane
artista romagnolo Nicola Samorì.
Attraverso un linguaggio visionario
che procede per strappi e lacerazioni, l’autore dipinge dettagli
che alludono allo sviluppo narrativo
delle singole scene, suggerendo
la continua lotta tra vita e morte,
verità e menzogna, luce e tenebre.
La vita non si svolge secondo uno
sviluppo lineare, ma è un campo di
battaglia in cui l’uomo è chiamato
a compiere le proprie scelte. Come
ci indica la Via Crucis, in questo
terribile cammino verso la morte
Gesù assume su di sé la “Croce”
del male che abita il mondo e il
cuore di ogni uomo, per liberarci,
per indicarci vie di liberazione,
percorsi di redenzione.
Gesù porta
sulle proprie spalle il peccato
del mondo, affinché impariamo
a convertirlo in strumento di vita.
Il Suo è un invito a percorrere
cammini di responsabilità nella
prospettiva di una civiltà che non
si fondi sulla violenza ma sulla
condivisione dei valori.
Andrea Dall’Asta S.I.
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